Quando la prevenzione non è sufficiente per mantenere le ossa in salute e si verificano fratture, è necessario ricorrere alla terapia farmacologica per ridurre il rischio che se ne manifestino altre. Ecco i farmaci più utilizzati.

L’osteoporosi è una condizione da cui non si guarisce: i farmaci disponibili non la curano, consentono semplicemente di rallentarne o arrestarne la progressione. Come abbiamo visto in un precedente articolo, la prevenzione rimane la strategia più importante per mantenere le ossa in salute.

L’osteoporosi è una condizione che evolve senza dare sintomi finché non provoca una frattura o il collasso di una o più vertebre. In caso di osteoporosi conclamata (ovvero quando la densità ossea è molto bassa e/o c’è già stata una frattura), è necessaria una terapia farmacologica, che si pone l’obiettivo di bloccarne l’evoluzione. L’utilità dei vari farmaci approvati per il trattamento dell’osteoporosi è massima nelle persone che hanno già avuto una frattura per evitare che possano subirne altre; la riduzione del rischio di fratture è infatti il parametro in base al quale si valuta l’efficacia del trattamento. Nonostante la disponibilità di farmaci efficaci, i dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) indicano però che viene trattato solo il 24% delle donne che hanno subito una frattura o che sono ad alto rischio a causa dell’osteoporosi. Inoltre, circa la metà di questo 24% abbandona la terapia prescritta, il che significa che per ogni 100 donne che potrebbero giovarsi di un trattamento, solo 12 si curano adeguatamente. In altri casi, poi, i farmaci vengono assunti a periodi, il che risulta inutile ai fini della prevenzione delle fratture. Esistono diversi medicinali approvati per il trattamento dell’osteoporosi. Spetta al medico scegliere caso per caso il farmaco più adatto alle esigenze di ogni singolo paziente, tenendo conto del sesso (ci sono medicinali approvati solo per le donne e altri approvati per entrambi i sessi), dell’età (alcuni sono più indicati per le donne in post-menopausa giovani, altri per quelle più anziane), della gravità dell’osteoporosi, della presenza di ulteriori fattori di rischio e di eventuali comorbilità (alcuni farmaci sono controindicati in condizioni cliniche particolari).
I farmaci attualmente più utilizzati sono i bifosfonati e per questa ragione limiteremo a questa classe di medicinali la seguente breve trattazione. I bifosfonati vengono definiti “farmaci anti-riassorbitivi” poiché il loro meccanismo d’azione consiste nell’inibire l’attività delle cellule che distruggono l’osso (gli osteoclasti, vedi box), bloccando così ulteriori perdite. In commercio esistono numerosi principi attivi appartenenti a questo gruppo, alcuni da assumere solo per via orale (es. alendronato, risendronato), altri anche per via iniettiva (acido clodronico, acido ibandronico e acido zoledronico, quest’ultimo solo per infusione).
I dosaggi differiscono ampiamente tra i vari principi attivi. Poiché il legame del bifosfonato al tessuto osseo dura per molto tempo, ed il suo rilascio avviene molto lentamente, le formulazioni a somministrazione giornaliera vengono sempre più sostituite da altre a somministrazione settimanale o mensile. Queste formulazioni intermittenti, oltre a incontrare maggior favore da parte dei pazienti, sembrano indurre effetti indesiderati con minor frequenza rispetto alla somministrazione giornaliera. Inoltre, l’effetto anti-riassorbitivo persiste anche dopo la loro sospensione. Gli effetti indesiderati più frequenti dei bifosfonati orali sono a carico del tratto gastrointestinale superiore e si manifestano soprattutto con dolore alla bocca dello stomaco (epigastralgia). Questo effetto, tuttavia, può essere ridotto notevolmente se si segue la prima delle buone regole dell’assunzione dei bifosfonati, ovvero: - assumere il farmaco al mattino, subito dopo essersi alzati dal letto, con almeno 200 ml di acqua a basso contenuto di calcio e rimanendo con il busto eretto (stando in piedi o seduti) per almeno 30 minuti. Alcune schede tecniche consigliano di non utilizzare acqua minerale ma acqua di rubinetto. Il consiglio deve essere interpretato intendendolo riferito sia ad acque minerali che del rubinetto ad alto contenuto in calcio; - deglutire le compresse intere senza masticarle o frantumarle per il rischio di ulcerazioni orali;
- non bere o mangiare o assumere altri farmaci prima che siano trascorsi 30 minuti dall’assunzione del bifosfonato (1 ora per acido ibadronico). Il calcio, in particolare, va assunto a distanza di almeno 30-60 minuti. I bifosfonati possono inoltre causare dolore osseo, muscolare o articolare, sintomi che possono comparire dopo giorni, ma anche dopo mesi o anni dall’inizio del trattamento. È bene fare attenzione alle terapie concomitanti con FANS, per il rischio di aggravare i danni gastrointestinali. Dopo periodi prolungati (anni) di terapia con questi farmaci e in pazienti con condizioni predisponenti (altre malattie concomitanti o uso di particolari farmaci) si possono manifestare fratture atipiche (così definite perché si verificano in una sede non tipica per l’osteoporosi, ad esempio a metà del femore, l’osso lungo della coscia). In caso di comparsa di dolore alla coscia, è consigliabile contattare il medico. Tuttavia l’effetto avverso che probabilmente preoccupa di più chi assume questi farmaci è l’osteonecrosi della mandibola, un problema grave ma fortunatamente piuttosto raro. Si tratta di una infezione dell’osso dovuta a germi presenti nel cavo orale e che può comparire in seguito ad un intervento odontoiatrico invasivo o all’estrazione di un dente. Questa complicanza va sospettata quando una avulsione dentaria o una manovra chirurgica sono seguite da una sintomatologia dolorosa che non si risolve e/o peggiora. Prima di iniziare il trattamento con bifosfonati è consigliabile quindi sottoporsi ad una visita odontoiatrica ed effettuare i necessari interventi, compresa la pulizia dentale e, nel corso della terapia, sottoporsi a periodici controlli, segnalando al medico o al dentista ogni sintomo orale (mobilità o caduta dei denti, dolore o gonfiore). La possibilità che si manifestino questi effetti indesiderati in caso di assunzione prolungata di bisfosfonati ha portato gli esperti a suggerire di valutare dopo 5 anni se proseguire la terapia o se sospenderla a seconda del rischio di incorrere in fratture.

L’osso è una struttura viva che si rinnova continuamente. Per tutta la vita, le nostre ossa continuano ad essere “rinnovate”, attraverso un processo incessante di riassorbimento (distruzione), ad opera di cellule dette osteoclasti, di osso vecchio o danneggiato e rideposizione (creazione) di osso nuovo, da parte di altre cellule, gli osteoblasti. Nella prima fase della vita prevale la formazione: il 90% della massa ossea dell’adulto viene costruito nei primi 20 anni di vita. Intorno al terzo decennio le ossa raggiungono la massima robustezza e peso, dopodiché la loro densità comincia lentamente a diminuire. Le donne risultano molto più esposte a questo indebolimento dell’osso, che subisce una rapida accelerazione dopo la menopausa per la mancanza di estrogeni.


TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA (TOS): QUALE RUOLO OGGI?
Per la prevenzione a lungo termine di osteoporosi e malattie cardiovascolari nelle donne in menopausa sono stati utilizzati per molto tempo estrogeni da soli o in combinazione con altri ormoni sessuali (progestinici). Questo trattamento, che fornisce alla donna gli ormoni che vengono a mancare dopo la menopausa, effettivamente rallenta il turnover osseo e aumenta la densità minerale ossea in tutti i distretti scheletrici. Tuttavia, a seguito della pubblicazione di un importante studio, da cui è emerso che la protezione contro le fratture si ottiene a spese di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari e cancro al seno e all’utero, vi è stato un forte ridimensionamento del ricorso alla terapia ormonale sostitutiva anche per la disponibilità di farmaci anti-osteoporotici con un rapporto beneficio rischio migliore.

SERVONO GLI INTEGRATORI?
I supplementi di calcio e vitamina D vanno sempre abbinati ai farmaci in quanto è dimostrato che sono necessari per massimizzarne l’efficacia. Alcune specialità a base di bifosfonati contengono già vitamina D nella confezione. Il mercato offre un’ampia scelta di prodotti contenenti solo calcio, o calcio associato alla vitamina D, sia prescrivibili dal medico, eventualmente erogabili in regime di SSN, sia come farmaci da banco che come integratori alimentari. Le dosi consigliabili di supplementi di calcio vanno commisurate al grado di carenza alimentare (in generale tra 500 e 1000 mg/die). Vanno assunti ai pasti per favorirne l’assorbimento. Mentre è ben documentata l’utilità dell’integrazione di calcio e vitamina D in donne con osteoporosi, meno certo è l’effetto protettivo di questi due nutrienti sulle fratture in donne sane. Di recente sono stati largamente pubblicizzati prodotti a base di fitoestrogeni come alternative naturali per fornire all’organismo gli estrogeni mancanti dopo la menopausa, carenza che è responsabile dell’accelerazione nella perdita di tessuto osseo. Vengono promossi non solo per alleviare i sintomi della menopausa, ma anche per prevenire l’osteoporosi; tuttavia la loro efficacia per questo scopo non è dimostrata. Lo stesso dicasi dei prodotti a base di silicio o di equiseto.

NB: Un adeguato esercizio fisico, la sospensione del fumo e l’eliminazione di condizioni ambientali ed individuali favorenti i traumi rimangono provvedimenti essenziali anche in corso di terapia.

 

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