Premessa

In gravidanza, il timore che il bambino nasca con un difetto congenito è uno dei motivi d'ansia più frequenti. Se la donna gravida ha assunto dei farmaci, l'ansia aumenta ancora di più. Questo atteggiamento di sospetto e di paura, nella maggior parte dei casi ingiustificato, molto probabilmente è una conseguenza del segno indelebile lasciato nella memoria collettiva dai tragici effetti della talidomide. All'inizio degli anni 60 questo blando sedativo, ritenuto così poco tossico da essere venduto come farmaco da banco, si rese responsabile di un numero impressionante di nascite di bambini affetti da focomelia, una malformazione fino ad allora molto rara in cui gli arti appaiono rudimentali, come nelle foche.
Per decenni, si era creduto che la placenta fosse una barriera invalicabile, in grado di proteggere l'embrione e poi il feto dai danni prodotti da agenti esterni e che i difetti congeniti fossero prevalentemente ereditari. Poi la talidomide dimostrò il contrario. Dopo aver indagato ogni possibile ipotesi, fu stabilito con certezza che la responsabilità dei casi di focomelia era da attribuire a questo farmaco, assunto dalle mamme in attesa nella fase precoce della gravidanza.
La scoperta degli effetti della talidomide sul feto confermò che i farmaci non solo attraversano la placenta ma possono anche esercitare un'azione tossica sul nascituro.
Questa consapevolezza ha portato all'introduzione di norme più rigorose per la sperimentazione dei farmaci prima della loro introduzione in commercio.
Nonostante l'attenzione al problema sia progressivamente cresciuta negli anni, le conoscenze sulla sicurezza dell'impiego dei farmaci in gravidanza sono tuttora spesso carenti.
Questo stato di cose induce spesso così tanto timore da evitare l'uso di farmaci anche laddove sono indispensabili, nonostante il rischio teratogeno dei farmaci sia percentualmente molto basso (0,5-1%) rispetto ad altre possibili cause di rischio.

Come si arriva a stabilire se un farmaco è teratogeno?

Purtroppo la scarsa conoscenza dei meccanismi della teratogenesi rende difficile prevedere solo su base farmacologica se un farmaco può essere nocivo per il bambino che deve nascere. Per avere l'autorizzazione all'immissione in commercio, ogni nuova sostanza viene sperimentata sugli animali. Tuttavia, anche se rappresenta una buona indicazione, questo non basta perché un farmaco può risultare teratogeno nell'animale ma non esserlo necessariamente per l'uomo. Allo stesso modo, l'assenza di effetti nocivi per l'animale non dà la garanzia totale che sia innocuo per gli esseri umani. Per molti farmaci così l'immissione sul mercato avviene in assenza di dati relativi ai possibili effetti di danno fetale nell'uomo. Le conoscenze sugli effetti di un farmaci in gravidanza possono solamente formarsi nel tempo, grazie a segnalazioni di singoli casi, studi appositamente impostati e studi sulla ''popolazione'' delle gestanti.

Gli effetti sul feto

I farmaci somministrati nel corso della gravidanza possono influire negativamente sullo sviluppo dell'embrione e del feto in molti modi. Nelle prime due settimane dopo il concepimento l'esposizione a farmaci teratogeni dà luogo ad un effetto detto di tipo ''tutto o nulla'': in altre parole o l'embrione muore e si ha un aborto o rimane indenne e si svilupperà in modo normale. La successiva fase dello sviluppo embrionale è quella nella quale si verificano le tappe fondamentali della differenziazione e dello sviluppo dei vari organi (organogenesi). E' proprio questo periodo, fra la terza e l'ottava settimana, in cui vi è la massima suscettibilità agli agenti teratogeni. L'effetto teratogeno sarà tanto maggiore quanto più precoce sarà l'esposizione. Dopo la fase dell'organogenesi, lo sviluppo strutturale del bambino non è più in pericolo. L'eventuale danno da farmaci sarà limitato ad anomalie dell'accrescimento e dello sviluppo funzionale, specialmente a carico del sistema nervoso centrale, senza difetti strutturali di rilievo. E' per questo che normalmente i farmaci sono controindicati soprattutto nel primo trimestre di gravidanza.
Altro periodo critico per la somministrazione dei farmaci è la fine della gravidanza, in prossimità del parto o addirittura durante il travaglio: in questo caso però gli effetti tossici di una sostanza farmacologica sono più lievi e transitori ed influenzano soprattutto le fasi più precoci dell'adattamento del neonato alla vita extrauterina.
Oltre al momento della somministrazione, anche la durata dell'esposizione al farmaco ed il dosaggio assunto sono importanti al fine di valutare il rischio di comparsa di malformazioni fetali.

Da ricordare

  • Dire che un farmaco è teratogeno non equivale a dire che certamente la madre che lo ha assunto avrà un bambino affetto da malformazioni, ma semplicemente che ha una maggiore probabilità che questo possa accadere. Nella maggior parte dei casi tuttavia non si manifesterà alcun danno e la gravidanza potrà seguire il suo corso normale, tenendo conto anche che esistono strumenti che consentono di controllare lo sviluppo del bambino con molta affidabilità.
  • Quasi sempre i foglietti illustrativi delle specialità medicinali riportano la controindicazione all'uso in gravidanza. Solo in alcuni casi tuttavia questa affermazione si basa sulle reali conoscenze che si hanno su quel farmaco; nella maggior parte dei casi la controindicazione viene posta per cautela proprio perché il farmaco non possiede una adeguata documentazione sull'impiego in gravidanza. Giova perciò ricordare che si tratta di una controindicazione ''preventiva'' che deve essere tenuta presente laddove, ad esempio, il medico si accinga ad impostare una nuova terapia in una donna che potrebbe rimanere incinta. Se però la terapia con quel farmaco fosse già in atto quando una donna si accorge di essere gravida (in realtà la situazione di gran lunga più frequente) la lettura di questa controindicazione non deve gettare nel panico quasi fosse una dichiarazione di rischio certa per il nascituro. In questi casi è sempre buona norma affidarsi al consiglio di esperti che, in base alla documentazione scientifica disponibile e alle modalità di assunzione del farmaco, potranno valutare la situazione nel suo complesso e quantificare il rischio reale.
  • Imparare a usare i farmaci solo quando ci sono reali motivi è il modo migliore per limitare il rischio di assumere medicinali nelle prime settimane di gravidanza, quando questo stato non è ancora noto e il rischio per il feto è maggiore. E questo sia nella donna che programma la maternità sia in quelle che non escludono questa possibilità.

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