I disturbi del sonno sono piuttosto frequenti nella popolazione generale; si stima infatti che ne sia colpito il 20% circa degli italiani adulti, con prevalenza del sesso femminile e delle persone anziane. L'insonnia è una condizione che si riferisce all'esperienza soggettiva di riposo notturno inadeguato, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo (in poche parole si dorme poco e male).
Chi si sveglia tre o quattro volte per notte e ha qualche difficoltà ad addormentarsi, non è detto che soffra d'insonnia: difficilmente si dorme per sei od otto ore di fila e tre o quattro risvegli sono più che normali. Si può parlare di insonnia quando invece viene riportata una frequente difficoltà di addormentamento, risvegli notturni ripetuti e risveglio precoce al mattino con impossibilità a riprendere sonno; queste condizioni possono poi condurre a un peggioramento della vita di relazione, del lavoro e in generale delle attività quotidiane.

Le fasi del sonno

La necessità di ore di sonno varia da persona a persona ed è regolata dai ritmi circadiani, attraverso complessi meccanismi che originano dal nostro cervello. Normalmente, il sonno segue dei cicli di circa due ore, dove si alternano fasi di sonno profondo a fasi di sonno superficiale (fase REM); in una notte in cui si dorme per otto ore, si verifica in media quattro volte il passaggio dal sopore al sonno leggero, al medio, e al profondo. Le stesse fasi vengono poi ripercorse in senso opposto fino alla fase REM, caratterizzata dai sogni. L'ultima fase REM, invece, non è seguita dal passaggio al sonno leggero, bensì al sopore e infine alla veglia.
Dal punto di vista fisiologico, con l'avanzare dell'età, si assiste a una diminuzione della necessità di ore di sonno: questa è massima nell'infanzia e nell'adolescenza e comincia a declinare dopo i 60 anni. A partire da questa età, al diminuito bisogno di sonno si affiancano anche alcuni cambiamenti delle sue caratteristiche: esso diviene frammentato, più superficiale, e con periodi di veglia sempre più prolungati.

Classificazione dell'insonnia

In rapporto alla presenza o meno di cause scatenanti, si possono distinguere due tipi di insonnia: insonnia primaria e insonnia secondaria.
Nel primo caso l'insonnia è l'unico disturbo in una sostanziale situazione di benessere fisico e psichico e non si riconosce una causa apparente.
Si parla invece di insonnia secondaria quando il disturbo è legato a cause note: depressione, ansia, malattie organiche, uso di sostanze come la caffeina, la nicotina, l'alcool ad alte dosi, situazioni ambientali e sociali stressanti, modificazioni del ritmo sonno-veglia (ritmi circadiani) come ad esempio il cambio di fuso orario o dei turni di lavoro. Anche alcuni farmaci possono provocare insonnia. In rapporto alla frequenza, si possono distinguere tre tipi di insonnia:
Insonnia occasionale
Ha una durata di norma di due o tre giorni ed è generalmente correlata a situazioni stressanti acute, come ad esempio il cambiamento di lavoro o un esame imminente, oppure alla presenza di un dolore fisico. E' possibile tuttavia che non si riconosca alcun evento scatenante. Solitamente questo tipo di insonnia non richiede un trattamento specifico, in quanto tende a scomparire spontaneamente.
Insonnia transitoria
E' l'insonnia che persiste da alcune settimane. Deve essere affrontata con tempestività, perché l'ansia di non riuscire a riposare può aggravare la situazione. Anche l'insonnia transitoria è generalmente correlata ad eventi stressanti (ad es. eventi luttuosi, problemi familiari), ma in questo caso si tratta di situazioni prolungate che mantengono il soggetto in stato di continua allerta.
Insonnia cronica
Si parla di insonnia cronica quando il disturbo persiste da più di tre settimane, sembra non avere una causa apparente. Risulta spesso facilmente riconducibile a comportamenti di una cattiva ''igiene del sonno'' , ossia il rispetto di abitudini favorenti il sonno, o a disturbi psichici o una malattia fisica.

Come combattere l'insonnia

La valutazione complessiva dei disturbi del sonno deve innanzitutto condurre alla cura e alla risoluzione, quando possibile, delle eventuali cause scatenanti, e secondariamente mirare a migliorare la qualità di vita del paziente, attraverso un intervento comportamentale o farmacologico.
L'intervento comportamentale dovrebbe essere il primo a cui fare ricorso; secondo recenti studi, la cosiddetta ''igiene del sonno'' permette di ottenere risultati più protratti nel tempo di quelli ottenuti con la terapia farmacologica ed è in grado di migliorare del 70-80% la qualità del sonno di persone sofferenti di insonnia primaria.
Quando anche gli interventi educativi mirati a una corretta ''igiene del sonno'' non abbiano sortito alcun risultato, il medico potrà valutare l'opportunità di ricorrere a trattamenti farmacologici (generalmente benzodiazepine o altri farmaci come zoplicone, zolpidem e zaleplon).

Quando usare i farmaci

In linea generale l'impiego di farmaci risulta essere raccomandabile solo quando il problema sia grave, debilitante e duraturo; sia cioè tale da influenzare negativamente la vita di tutti i giorni. Il farmaco dovrà essere assunto al più basso dosaggio efficace per un breve periodo, al termine del quale la sospensione del farmaco dovrà avvenire con gradualità per evitare la comparsa di un'insonnia di rimbalzo. E' inoltre buona norma durante la terapia farmacologica evitare di assumere contemporaneamente alcolici o altri farmaci che possano potenziare l'effetto deprimente sul sistema nervoso centrale.

Le cure naturali

Accanto alle terapie farmacologiche convenzionali, esistono numerosi rimedi naturali offerti dalla cosiddetta ''medicina alternativa'': valeriana, camomilla, passiflora sono quelli che più frequentemente rientrano nei prodotti impiegati nell'insonnia (es. Fitosonno, Sedivitax, ecc.). La melatonina, disponibile come integratore alimentare, viene proposta soprattutto quando l'insonnia è riconducibile a fenomeni di alterazione del ciclo sonno-veglia.
Pur non avendo una solida documentazione alle spalle, questi prodotti, vista la minore incidenza di effetti collaterali, potrebbero inizialmente rappresentare una buona alternativa alle terapie farmacologiche o essere utilizzati nella fase di progressiva riduzione del dosaggio. Il ricorso alle terapie naturali tuttavia non deve avvenire in modo indiscriminato, in particolar modo durante la gravidanza e l'allattamento.