Cos'è?

Con questo termine si intende la perdita involontaria e ripetuta di urina durante il sonno nei bambini al di sopra dei sei anni. A questa età quasi il 10% dei bambini bagna ancora il letto, anche se con il passare del tempo questo disturbo permane in una percentuale sempre più piccola di pazienti. Solo l'1% dei bambini continua a bagnare il letto fino alla pubertà.
Se il bambino non ha mai smesso di bagnare il letto, si parla di enuresi primaria; si definisce invece secondaria l'enuresi che riguarda i bambini che ricominciano a bagnare il letto dopo un prolungato periodo di controllo.

Quali sono le cause?

Nella maggior parte dei casi alla base del problema vi è un ritardo di maturazione, ossia una più lenta acquisizione di certe funzioni rispetto alla media dei bambini.
Normalmente il controllo della minzione avviene con gradualità, di pari passo con lo sviluppo del sistema nervoso centrale. Di fatto, la capacità di controllare l'eliminazione dell'urina è legata alla capacità del sistema nervoso centrale di bloccare le contrazioni della vescica. In assenza di tale controllo la vescica si svuota involontariamente.
Diversi fattori contribuiscono alla comparsa di questo disturbo, come la familiarità, lo squilibrio fra la produzione notturna di urina e quella diurna, la scarsa capacità della vescica di resistere agli stimoli e la difficoltà a svegliarsi.
Motivi psicologici sono più spesso alla base dell'enuresi notturna secondaria, precipitata, ad esempio, da particolari eventi che mettono a nudo il bisogno di sicurezza e di dipendenza del bambino (tipico il caso della nascita di un fratellino).
La presenza di un problema organico, come infezioni delle vie urinarie, diabete insipido e mellito e spina bifida occulta, può far si che il bambino bagni il letto ma in questi casi è più corretto parlare di incontinenza che di enuresi.

Cosa non si deve fare

Un'attenzione troppo pressante sul problema o un atteggiamento severo o punitivo nei confronti del bambino sono deleteri. Le punizioni, i continui rimproveri aggravano l'imbarazzo e i sensi di colpa del bambino e non fanno che peggiorare la situazione. Dal punto di vista psicologico è invece molto importante che i genitori si dimostrino comprensivi e gli forniscano le necessarie rassicurazioni affettive.

Le convinzioni da sfatare

Per cercare di risolvere il problema, possono essere d'aiuto alcuni semplici provvedimenti, quali:
  • incoraggiare il bambino a ''fare pipi'' prima di coricarsi;
  • evitare sostanze ad effetto ''diuretico'' come bevande contenenti caffeina (tè, cola);
  • correggere l'eventuale stitichezza; eventualmente svegliare il bambino durante la notte per farlo urinare (ma non insistere se l'intervento risulta inutile).
Se il bambino ha più di sei anni e il problema viene vissuto da lui e dai genitori con preoccupazione, il pediatra può proporre particolari interventi, fra cui l'educazione vescicale. Questa tecnica parte dall'illustrazione al bambino della conformazione dell'apparato urinario e della funzione della vescica, insistendo in particolar modo sull'importanza del suo svuotamento una volta raggiunto un certo grado di distensione. L'''allenamento'' vero e proprio consiste nell'educare il bambino ad interrompere il getto di urina una volta iniziato ed a resistere il più a lungo possibile agli stimoli, riempiendo progressivamente sempre più la vescica prima di svuotarla. E' utile inoltre compilare un diario registrando le notti ''bagnate'' e quelle ''asciutte'' ed eventuali sintomi osservati durante il giorno (es. gocciolamento).
Se, mediante questi provvedimenti, non viene raggiunto l'obiettivo desiderato, un ulteriore metodo educativo consiste nell'impiegare speciali dispositivi di allarme notturno (es. Wet Stop). Si tratta di sistemi costituiti da un rilevatore per il bagnato che viene posto nelle mutandine e che attiva una suoneria quando il bambino inizia ad urinare. Quando l'allarme suona, il bambino si sveglia e smette di fare la pipi. Questo è il metodo che assicura in assoluto la maggior percentuale di guarigione, ma richiede un lungo periodo di utilizzo prima di produrre i suoi effetti (5-8 settimane). Inoltre non può essere impiegato al di sotto degli 8 anni e può non essere ben accetto dal bambino (ma anche dalla famiglia, ad esempio se il bambino condivide la stanza con i fratelli).
Quando questi approcci non ottengono risultati, il pediatra può decidere di ricorrere ai farmaci. Spesso il trattamento farmacologico e comportamentale vengono associati per ottenere risultati più rapidi e duraturi.

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